Firenze, 10 ottobre 2013
ERMINI PICTOR LUDENS
di Marco Palamidessi
Ironia, sensibilità, innata capacità comunicativa: queste le caratteristiche principali dell'arte di Francesco Ermini, giovane e promettente artista livornese che si è incamminato da tempo sulla via della pittura, con la ferma consapevolezza di aver già trovato uno stile che lo rende perfettamente riconoscibile nel panorama italiano contemporaneo. Uno stile che, grazie ad una sintassi figurale essenziale e diretta, prende le distanze da formulazioni pittoriche largamente diffuse e più comunemente accettate.
Le opere di Ermini sono l'originale manifestazione di sofisticati rimandi figurativi e concettuali, intrise come sono di quell'ironia dolceamara che - nell'arte come nella vita - non ho mai fatto mistero di amare. Portatrici del pensiero del loro creatore, della sua visione della realtà e dei suoi sistemi, le figure e gli oggetti sintetizzati formulano, nell'essenzialità della scena dipinta, il loro discorso pittorico, sempre e comunque aperto a molteplici interpretazioni: nel dialogare mai casuale all'interno dell'immagine, essi affermano l'importanza esercitata come singole parole, come significanti di un discorso ben più ampio e articolato. Quella del livornese è una pittura in equilibrio imperfetto tra figurativismo e muralismo metropolitano, caratterizzata da una marcata stilizzazione formale, da una tavolozza ridotta nella sua gamma cromatica essenziale, e soprattutto da immediatezza ed istantaneità nel raggiungere l'osservatore come se fosse un bersaglio sensibile.
Colpire e fuggire, è questo lo scopo di Ermini: centrare la visione e l'intelletto, l'occhio e la mente, con istantanee figurali cariche di contenuti semantici e di ricercati rimandi storici e culturali, con dipinti che non vogliono mai essere interpretazioni univoche della società di massa. Opere dei cui messaggi l'artista stesso intende consegnare diver se chiavi interpretative, anche attraverso titoli e giochi di parole volutamente enigmatici. Forte di una perizia tecnica pienamente posseduta e di una mirabile coerenza, Ermini si esprime attraverso una notevole sensibilità cromatica ed un linguaggio straordinariamente efficace, per mezzo del quale realizza opere soprendenti, i cui effetti sono lontani anni luce da certi mondi incantati o da soavi spensieratezze formali.
Francesco Ermini è, a suo modo, politicamente scorretto, ride e deride l'era in cui viviamo, non curandosi affatto dell'atteggiamento benpensante di chi cerca di essere, per contro, politically correct. Una pungente irriverenza e quel po' di sana e sfacciataggine contraddistinguono il suo carattere d'artista: tagliente e dissacrante giocoliere, a tratti sottilmente cinico eppure mai sconveniente, sempre arguto e attento a non scadere in abusate e trite volgarità, i suoi quadri sono come singoli fotogrammi della stessa pellicola, de llo stesso film ironico e dolceamaro ad un tempo.
La sua è una pittura caustica se vogliamo, che smuove le coscienze o induce a riflettere, sul filo di un meditato sistema di segni, provocatorio ed altamente efficace. I protagonisti delle sue tavole a volte vengono messi alla berlina e sepolti da un sarcasmo modulato e calibrato con intelligenza, privo di pudore e di falsi moralismi. Le opere sono lo spazio in cui si manifestano elementi estremamente sintetizzati, come sagome di uomini e cose, figure e simboli iperconosciuti, stilizzati, scontornati, ritagliati dal loro contesto di origine e messi a dialogare fra loro, imponendoli sulla scena come attori principali del discorso che l'artista intende via via manifestare. Non spray e cemento armato, ma i più tradizionali grafite e tempere su tavola di legno, sono le armi di Ermini: eppure egli dimostra la stessa impunita irriverenza della street-art nei confronti del sistema costituito delle convenzioni, la s tessa voglia di irridere e sdrammatizzare, di sbeffeggiare i luoghi comuni, di mordere a fondo le false certezze, ciò che insomma ci viene somministrato per “buono” dalle istituzioni o dalle multinazionali, con un diffuso senso di leggerezza ma al contempo in maniera critica e talvolta impietosa.
Nel mondo di Ermini l'uomo contemporaneo si fa silhouette bianca, vuota sagoma da riempire, dove proiettare le nostre urgenze, i nostri stati emotivi, le nostre riflessioni o disillusioni e, forse, la nostra consapevolezza di non voler più essere fantocci che assorbono incondizionatamente tutto ciò che ci piove dall'alto. Lasciare il segno della propria presenza senza svelare doverosamente la propria identità: è questo che fa, in queste opere, l'uomo contemporaneo. Eppure sempre uno, anche centomila ma mai e poi mai nessuno: all'uomo di Ermini piace esserci, allo scopo di lasciar traccia di sè. Quelle sagome bianche e scontornate siamo noi nel tentativo, nella speranza di esistere e magari di vivere, nell'attesa di una ribellione, di una rivoluzione, che come utopia tarda ad arrivare, ma che come sogno esiste come certezza.
FRANCESCO ERMINI
di Susanna Pellegrini
"Immagini stereotipate, bianche sagome senza contorno, strisce di cielo o di colore, oggetti appena abbozzati sembrano galleggiare in una casualità ricercata e diventano emblemi di spazi troppo dilatati per essere accoglienti e di un mondo in cui il singolo è privo di appigli, ma rimane pur sempre in compagnia dei suoi segreti. La tecnica è un misto acrilico e carbone su tavola di legno pretrattata con vernice lucida, colla e quant’altro possa rendere la superficie quasi vissuta ancor prima di procedere alla realizzazione finale; ed è attraverso la giusta combinazione tra questo e la scelta stilistica che le opere di Francesco Ermini ci parlano di un’identità sociale che è nostra e sua, dove il particolare inesistente diventa intimo e nello stesso tempo collettivo: ogni cosa è simbolo, ogni cosa è differenziata, ma senza prevaricazioni.
La superficie è rotta da presenze quadrangolari di colore dai margini frastagliati; stesure monocrome che diventano parte del soggetto non, più mero supporto compositivo: un'eco alla Rothko; sembra di trovarsi davanti ad immagini che ci guardano senza occhi, le stesse anonime figure create a stencil che si trovano sui muri dei palazzi urbani, un misto di street art senza street, ma quasi dietro alla finestra, più intimista. Echi di pittura simbolista, oggetti reali ma trasparenti; qualcosa di Redon, il pettirosso di Blake, solo che questa volta salta la gabbia e rimane in compagnia del suo cielo, che non si arrabbia ma si rovescia verticale. Rimandi pittorici a David Lynch ma senza il grottesco e l’ossessione: la calma dell’ineluttabile che attende disteso.
Reale e irreale si mischiano senza accenti di genere; davanti alle opere di Francesco Ermini si è di fronte a una sorta di alfabeto personale: sagome che s’incontrano con oggetti o forme specifiche, ci colpiscono ludiche e feroci nello stesso tempo.
Scandagliando questa sfilata di “presenze”, tracce o impronte volutamente lasciate dal sentire dell’artista, ci si stacca dalla solita triade della provocazione: capezzoli, sigarette e pistole (fin troppo abusata) e, là dove compare, il tocco delicato di Francesco Ermini ne camuffa abilmente il valore; come un ready-made rettificato: ecco il mitra della tesa figura incravattata che, incerta se abbandonare completamente il suo stato di natura, con uno ossesso sguardo senza occhi davanti al residuo domestico di quella natura selvaggia che è una pianta in vaso, ne medita la distruzione. Ma la pistola, perfetto medium dell’artificio umano, perde consistenza senza sbiadire e, nel dubbio invece di essere portatrice di altra violenza, si arrende sgocciolando acqua. Ancora: ci si chiede la fine della parola incompiuta “rEVOL”, che forse neanche l’artefice – quel fantasma giovanile o di una gioventù senza tempo – è mai riuscito a trovare: una fine concludente e conclusiva. Consapevole di questo, l’intera superficie si scioglie sul finale dell’opera o del pensiero. Francesco Ermini gioca con noi, con sè stesso e con la realtà, in un continuo scambio – mai banale – fra mittente e destinatario; l’allodola è attratta dai suoi specchi perfino quando lo specchio in questione è la lente di una macchina fotografica e curioso lo è davvero questo dialogo, come quello fra un improbabile grammofono e un colibrì in volo, dove la la riproduzione sembra giocare con il suo originale.
Francesco Ermini, seppur giovane (nasce a Livorno nel 1980), possiede già una maturità nel suo percorso artistico che, iniziato nel 2000, , lo ha portato a raccogliere un bagaglio di formazione itinerante tra Oviedo, New York, Houston, Londra ed Edimburgo. Forse è proprio grazie a questo e alla sua evidente innata sensibilità che l’artista riesce in questa sua arte decisa, delicata e molto personale, pregna di significato ma senza boria e forzature di alcun genere; e si muove nel suo mondo con estrema spontaneità, lasciando a quest’ultimo il giusto compito di referenziarsi."
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